Questo elenco, lungi dall’essere esaustivo, propone le caratteristiche di quello che considero "buon terapeuta".
Ritengo che i punti sotto indicati riflettano qualità, atteggiamenti e comportamenti che i terapeuti, indipendentemente dalle scelte teoriche che operano durante la loro formazione o in virtù della propria personalità, dovrebbero dimostrare pragmaticamente, nel contatto quotidiano con i loro clienti e, in una certa misura, anche nella loro vita privata; questo poiché un terapeuta non si può permettere il lusso di "staccare la spina" una volta uscito dallo studio. Anche se ha pienamente diritto a vivere la propria dimensione privata nel modo in cui ritiene più giusto, non è possibile pensare che possa aiutare autenticamente i propri clienti se egli stesso vive una sorta di doppia vita, una seria, matura ed equilibrata durante la vita professionale, e una magari fatta di eccessi, frustrazioni, conflitti e infantilismi.
Durante una terapia in cui conta moltissimo la relazione che si stringe tra cliente e terapeuta, c’è un continuo scambio di messaggi e di informazioni sia verbali che non verbali. Che lo si voglia ammettere o meno, il cliente apprende nel giro di pochi incontri, molto di più di quanto ogni terapeuta voglia concedere. E’ quindi essenziale che le informazioni che possono essere "lette" dai clienti siano corrette alla fonte.
Imparare ad avere uno stile di vita adeguato alla professione di psicoterapeuta è un dovere primario (che, tra l’altro, permetterà di non avere alcuna paura delle intrusioni di certi difficili clienti, perché non c'è niente da nascondere).
E adesso l'elenco…
1) È adeguatamente preparato nelle discipline psicologiche, conosce gli strumenti che usa, si aggiorna ed è pienamente disposto a svolgere la professione di aiuto.
2) Utilizza le conoscenze per le quali è stato addestrato ed è consapevole di dover maneggiare le proprie emozioni e reazioni nella relazione terapeutica. Conseguentemente a ciò ricorre alla supervisione periodica, al continuo aggiornamento e all'incessante esplorazione e confronto dialettico con se stesso, come evoluzione del training che ha seguito durante la sua formazione.
3) Mette a disposizione del cliente uno spazio e un periodo di tempo adeguati, definiti presto in modo chiaro e accettabile da entrambe le parti, possibilmente stabili per tutta la durata della terapia. Egli modifica il tempo a disposizione del cliente e il setting consueto quando la tecnica che usa o il periodo della terapia lo richiedono e cerca di ridurre al minimo le modifiche dovute a cause personali, programmando efficacemente la propria attività.
4) Pur rispettando le diversità degli ambiti professionale e privato egli non "cambia faccia", improntando la propria vita all'autenticità, all'onestà, al rispetto, all'entusiasmo, al calore e all'equilibrio, come stile e filosofia di vita.
5) E' assertivo, cioè consapevole dei suoi diritti e delle sue responsabilità ed è franco, chiaro e diretto, sicuro di sé e differenziato, eccetto quando alcuni questi atteggiamenti all'interno della relazione terapeutica non siano immediatamente applicabili per particolari fragilità del cliente o stadi della terapia. Inoltre è autorevole e non autoritario.
6) E' particolarmente rispettoso del segreto professionale, che costituisce innanzitutto un suo obbligo verso il cliente.
7) E' attento a non far sconfinare la sua attività lavorativa in quella privata, e viceversa.
8) Considera il cliente come una persona nella sua interezza e non come un semplice oggetto di studio o un mero strumento per arricchirsi economicamente.
9) Cura con particolare attenzione il linguaggio e in genere la comunicazione con il cliente, non basandosi esclusivamente sui contenuti, consapevole dell'importanza della giusta comunicazione in termini di efficacia.
10) Nel contesto di una psicoterapia non fornisce semplici consigli, contrastando la tentazione di sostituirsi al cliente nel modo di vivere e di affrontare le scelte di vita. Se costretto a farlo, "costruisce" consigli comprensivi di esplicazione dinamica, in modo tale da permettere al cliente di generalizzare lo stile e utilizzarlo proficuamente in altri contesti.
11) E' in continua vigilanza per liberarsi dall'emettere giudizi e dall'uso dei pregiudizi, inoltre utilizza le etichette diagnostiche solo per vantaggi nell'aggiornamento e nello scambio con i colleghi. Nel caso in cui è costretto a utilizzarle per altri scopi (come una perizia o in una certificazione diagnostica) tiene particolarmente a chiarire al paziente la riduttività della categorizzazione e i rischi di fraintendimento.
12) Riconosce i suoi errori, come confronto e occasione di crescita, eccetto quando ritiene che riconoscerli apertamente in terapia procuri un inutile danno al cliente. Egli comunque ne tiene conto e "lavora" per capirsi e correggersi.
13) E' consapevole dell'esistenza di numerosi modelli esplicativi della mente, alcuni dei quali scarsamente integrabili. Pur riconoscendosi il diritto di scegliere, in base alla propria formazione e inclinazione personale, il modello che gli sembra maggiormente corretto, non considera tale scelta come assoluta e fideistica, confrontandosi continuamente con le diverse posizioni.
14) In nessun caso ha rapporti sessuali con i clienti, neanche dopo il termine della terapia o in caso di interruzione. Inoltre non intrattiene scambi economici al di fuori di quelli pattuiti per la prestazione professionale e non partecipa al mondo privato e sociale del cliente (eccetto quando quest'ultimo comportamento sia l'unico, e temporaneo, modo di avvicinare o aiutare un cliente "difficile").
© Dr. Giuseppe Vadalà - 1999 - Il testo non può essere riprodotto né in parte né totalmente senza il consenso dell'autore